Sabato sette giugno dell’anno del Signore duemilaquattordici, ore otto della sera.
A casa da solo: sto scrivendo.
‘Scusate la polvere’ (Nottetempo, 2011, € 12,00, pp. 206) è un’opera narrativa dal piglio ironico e un’acclamata pièce teatrale di recente in scena allo Stabile di Catania. Grazie a una scrittura dai toni intriganti e briosi, l’autrice conferma la sua toccante maestria a giocare con le parole. In punta di penna e senza forzare, danza la Seminara e intanto rovescia, impasta e mischia i vocaboli. «Elettrizzante -radiosa come sempre ella è- ritrovare il tuo romanzo a teatro. Lo vedi crescere e ridursi, amplificarsi coi personaggi in forma umana e contrarsi, prender forma e poi evolversi per conto suo. Entusiasmante osservare il palco che regge un mondo concepito dalla tua fantasia: tre donne inclini ai cinquanta con l’ambivalenza e le inquietudini della loro neo-adolescenza. Amo le riconversioni: un atto trasformativo che ricicla le piccolezze del quotidiano in forma magica e, in questo caso, (m)isterica».
La storia si srotola in Sicilia ed è dedicata al gentil sesso; la percorre qualcosa di sinistro e la anima un soffio irriverente. Il testo assume l’intensità di uno spartito musicale e al suo centro si staglia il tema dell’amicizia femminile; in principio il ritmo è spumeggiante, poi rallenta un po’ e riprende fiato per lo sprint finale. Con roseo cinismo, il tessuto narrativo rivela un micro-presente instabile e colmo di tic: una fase perenne di precariato sentimentale e sociale, uno stadio ibrido, tutto mischiato e centrifugato. Il personaggio principale odia le cotognate, ha una mamma smemorata e un nome pesante. È un’amabile, ironica e stravagante signora che lavora in nero e indossa un paio di occhiali storti; una persona tendenzialmente nevrotica, alta un metro e sessantacinque e con il colon lungo e aggrovigliato tipo una corda di barca a vela. La sua esistenza scorre limpida fin quando una telefonata le annuncia l’improvvisa scomparsa del marito. Invasa giornalmente dalla nostalgia, la donna inciampa nel rimpianto e si sente un rifiuto sociale. Non le viene facile archiviare migliaia di flashback e rinchiuderli in una scatola di cartone, né tanto meno incellofanarli nella cappella del suo cuore. Lo sposo, la buonanima insomma, era il mago della sua vita e per vent’anni i due erano stati incollati come pezzi di lego. Ora, da mattina a sera, la neo-vedova riempie cisterne di lacrime fin quando, tra una tisana e un biscotto alle noci, scopre di esser stata cornificata. Lo viene a sapere da un tizio ambiguo e con la faccia terrosa come un kiwi. Da quel dannato momento altro non fa lei che inserir la retromarcia e correre alla ricerca di bugie e omissioni, trappole e tranelli. Dulcis in fundo, dentro ‘Scusate la polvere’ci son due fate. Una con i capelli rossi e piena di strass, né alta né grossa e con i denti a coniglio; fa la disegnatrice d’interni d’anima, anzi per esser precisi l’architetto della psiche. L’altra, maliarda del catering creativo e artista del gusto, ogni giorno invischiata sta tra mousse e patisserie. Ha frangetta nera e occhi verdi: è affascinante anche quando sbadiglia o starnutisce.
Domenica otto giugno duemilaquattordici, le dieci del mattino.
Passeggio per Catania, ho la testa tra le nuvole. Un ostinato trillo la riporta sul pianeta terra. Luccicante sul display del mio cellulare è la scritta ‘Torquato Tricomi’.
«Carissimo Alessandro, come stai?»
«Tutto bene, compare Torquato, ma mi sento parecchio confuso».
«Confuso! E perché mai?»
«Non riesco a scrivere il finale della recensione di un romanzo sulle donne e sul loro modo di stare insieme. S’intitola ‘Scusate la polvere’ ed è un gustoso spaccato sulle ossessioni femminili. Da un lato ci siamo noi che, schiavi di ormoni truffaldini, quotidianamente rischiamo di smarrire la strada maestra…»
«…dall’altro le nostre principesse, perennemente sul chi va là e pronte a riempirci di scorpacciate di pistolotti. Le donne sono adorabili ma testarde e raggiungono sempre l’obiettivo prestabilito, ricordalo. Sono più perspicaci degli uomini e dotate di forza fisica più di quanto sembri. Caro Alessandro, ti cito l’Ecclesiaste: ‘Più amara della morte è la donna’. Come potrebbe il gentil sesso non farci paura?»

Alessandro Russo

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