È a dir poco desolante il rapporto dello Svimez sull’economia del Mezzogiorno, che è stato presentato due giorni fa presso la Sala della Regina della Camera dei Deputati.

Un’Europa divisa in due dove l’Italia rimane sempre il fanalino di coda e stenta a riprendersi da questa crisi al contrario di molti altri paesi, prima fra tutti la Germania, che cominciano a vedere la via d’uscita. Ma vi è, anche, un Paese diviso e diseguale, dove il: nel 2013 il divario di Pil pro capite è tornato a livelli di dieci anni fa, negli anni di crisi 2008-2013 i consumi delle famiglie sono crollati quasi del 13%, gli investimenti nell’industria del 53%, i tassi di iscrizione all’Università tornano ai primi anni Duemila e per la prima volta il numero di occupati ha sfondato al ribasso la soglia psicologica dei 6 milioni, il livello più basso dal 1977. Una terra a rischio desertificazione industriale e umana,dove si continua a emigrare, non fare figli e impoverirsi: in cinque anni le famiglie assolutamente povere sono aumentate di due volte e mezzo, da 443mila a 1 milione e 14mila nuclei. E le previsioni 2014-2015 contenute nel Rapporto di previsione territoriale SVIMEZ 01/2014 confermano il trend negativo.

svimez

Le conseguenze, si legge nel rapporto, riguardano cambiamenti difficili da invertire della struttura economica delle regioni del Sud: tendenziale desertificazione industriale, incapacità di generare reddito e posti di lavoro, allontanamento dalle traiettorie di sviluppo europee, con il rischio di avvitamento in una ulteriore spirale perversa di calo della domanda e disoccupazione.

L’uscita dalla crisi non è semplice. Questo perché la spinta della domanda estera, che sta attualmente trainando la debole ripresa del Centro-Nord, ha nel Sud un peso assolutamente modesto. Al contrario, la domanda interna è ancora in forte caduta, originata dalla pesante contrazione dei consumi e dal crollo della spesa per investimenti. Un meccanismo di aggiustamento che sta lavorando è quello demografico. I giovani emigrano, e la natalità si riduce in modo inimmaginabile rispetto al decennio precedente, controbilanciando, per questa via, le differenze di reddito, e quindi parzialmente riassorbendo il gap venutosi a creare in termini di reddito pro capite.

Non è però un meccanismo virtuoso: al depauperamento del capitale fisico, in mancanza di nuovi investimenti, si affianca il depauperamento del capitale umano, riducendo ulteriormente le risorse su cui il Mezzogiorno potrà contare per uscire dalla crisi. Nel complesso, la lunga crisi che ha interessato l’area meridionale ha come inevitabile conseguenza l’allargamento del divario di sviluppo tra il Nord e il Sud del Paese.

Questa la dura realtà che, non solo si legge in un rapporto economico, ma la si vive giornalmente in un Sud per lungo tempo, troppo tempo, vilipeso e sfruttato, grazie anche (ma non solo) a degli amministratori e politici di turno che non hanno saputo (o voluto?) fare la “tà politikà “che etimologicamente sono “gli affari che riguardano la città”, forse perché impegnati a fare altro. Ma anche per colpa di un popolo che fin troppo tempo è stato e continua a stare a guardare.   ,

Di admin

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Translate »