Perle di rubinoLa società moderna, super tecnologica, ha raggiunto in ambito sanitario livelli di conoscenza molto alti. Quando si trova nella necessità di far fronte ad una minaccia che riteneva superata da tempo oppure relegata in un’area geografica limitata e di basso livello socio-economico, non sempre la risposta, soprattutto quella emotiva, è adeguata. Diventa normale quindi, quando si assiste a massicce campagne di informazione che dipingono scenari apocalittici, nutrire sospetti sulla loro veridicità, temendo che i pericoli possano essere stati esagerati ad arte.
Chi non ricorda il massiccio acquisto, deciso dall’allora ministro della sanità, di vaccino anti influenzale dopo la diffusione di allarmanti previsioni sugli effetti di un particolare ceppo di virus influenzale descritto molto più pericoloso dei precedenti? Sappiamo come andò a finire, una quantità enorme di vaccini acquistati dal sistema sanitario nazionale rimasero inutilizzati avvalorando i sospetti di un allarme provocato con il solo scopo di realizzare gli enormi profitti derivanti dalla vendita dei vaccini.
Non credo si possa nutrire lo stesso sospetto sulle notizie dei numerosi casi di ebola degli ultimi mesi, che non rientrano in questa tipologia di allarme e che, al contrario, non possono essere sottovalutati: prima di tutto per la pericolosità intrinseca di una infezione dall’esito molto spesso nefasto, e poi per la mancanza di farmaci specifici per curarla.
Gli scienziati, i medici, le organizzazioni sanitarie mondiali, sono concordi nel dire che, in mancanza di una cura specifica, per combattere l’ebola ( o i vari tipi di ebola, pare infatti siano almeno tre tipi) al momento siano necessarie una serie di misure, la più importante delle quali è l’isolamento dei malati. Per farlo è necessario diagnosticare la malattia in tempi rapidi ed assistere poi i malati in adeguate strutture dove tenerli in quarantena in modo efficace.
L’ebola ha già colpito, nel passato, nei paesi da cui queste epidemie si son diffuse quest’anno (prima in Guinea, poi in Liberia e Sierra Leone). Paesi poverissimi che non sono in grado di offrire assistenza adeguata ai malati, ed in cui le popolazioni nutrono una profonda sfiducia nei confronti delle istituzioni, di solito inefficienti e corrotte, sfiducia che li porta ad ignorare gli inviti ad isolare i malati dalle famiglie e dalla cerchia di parenti e amici, per cui rimangono nelle loro case. Ma la malattia, negli anni passati, colpiva solo lì, l’epidemia cominciava e finiva in quei paesi, spesso piccoli villaggi, interessando numeri limitati di persone.
L’enorme aumento della mobilità dei popoli, anche dei più poveri e disagiati, che migrano verso paesi che offrano loro maggiori possibilità, come la Nigeria, che è il più grande e popoloso paese di quelle zone, aumentano i pericoli di allargamento del contagio, generando i comprensibili timori che si stanno diffondendo in tutto il mondo.
Se è vero che non si conosce ancora una cura efficace, l’ebola è praticamente incurabile, se ne possono al massimo limitare i sintomi e le sofferenze, bisogna anche dire che sono in corso numerosi studi e ricerche, alcune delle quali molto promettenti, con risultati incoraggianti che fanno sperare nell’arrivo di farmaci efficaci in un futuro più o meno prossimo.
Al momento si può e si deve puntare solo su efficaci misure di prevenzione ed auspicare massicci investimenti nella ricerca di nuovi farmaci e nuove terapie.
Giuseppe Rubino

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