Da un uomo di scienza, medico di fama internazionale qual’é il Professor Umberto Veronesi, sarebbe lecito aspettarsi dichiarazioni, annunci, pareri di alto profilo morale oltre che medico scientifico, con profondo dispiacere noto che ancora una volta l’insigne scienziato si lancia in considerazioni perlomeno discutibili.
Come riportato da vari quotidiani nazionali, nel suo ultimo libro Veronesi afferma che ” dopo Auschwitz il cancro è la prova che Dio non esiste”. Una bella frase ad effetto, se poi a pronunciarla è un oncologo di fama, l’effetto è ancor più fragoroso.
È nota la posizione di Umberto Veronesi che ha già ripetutamente manifestato il suo pensiero a proposito di Dio e della religione, non credo quindi che dietro una affermazione così forte ci sia solo un’operazione di marketing per il lancio del nuovo libro. E non provo neanche a confutare la veridicità delle sue affermazioni dal punto di vista teologico o scientifico, lo possono fare molto meglio di me altri; mi limito solo ad alcune osservazioni dal punto di vista dei malati oncologici, credenti e non.
Nel suo libro Veronesi afferma di non credere più che esistano verità rivelate quando un cancro incurabile devasta un bambino, che non ci sia alcuna possibilità di aiutare i genitori nella loro sofferenza. Del professore Veronesi ho sempre apprezzato il tentativo, comune a tutti coloro, medici o ricercatori, che lavorano quotidianamente per curare i malati di cancro, di dare speranze. I grandi progressi nelle cure, la crescente percentuale di sopravvivenza, la minore invasività della chirurgia (frutto anche dell’impegno di Umberto Veronesi che si è molto speso nel tentativo di limitare al minimo la demolizione di tessuti sani nel cancro della mammella per esempio) sono gli argomenti adoperati da chi combatte quotidianamente il cancro, per dare speranza ai malati ed alle loro famiglie.
Ma quando un medico della fama di Veronesi afferma che questo male dimostra, addirittura, che Dio non esiste è come se dicesse che non c’è possibilità di guarigione, che chi si ammala non ha, non può avere, speranze. Non credo sia questo che un malato si aspetta dai medici e che sia credente o ateo cambia poco; la sensibilità del medico, la sua libertà, le sue idee politiche e religiose, non sono in discussione; non si tratta di affermare il primato tra scienza e fede, un malato ha bisogno di essere curato non come un aggregato di organi più o meno sani, ma come persona e in quanto tale, deve essere rassicurato e informato: io non mi sentirei rassicurato da un medico che di fronte alla mia, pur grave malattia, la considerasse il male  assoluto che toglie ogni speranza.
Un’ultima annotazione: neanche Veronesi resiste alla tentazione di spiegare il pensiero di un papa meglio del …papa stesso, nel suo libro, a proposito di Auschwitz cita la famosa frase di Benedetto XVI, “Dov’era Dio in quei giorni? Perché Egli ha taciuto? Perché ha potuto tollerare tutto questo?”
A tal proposito invito il lettore a cercare su internet e leggere il bellissimo articolo che Gianfranco Ravasi scrisse su Avvenire il 31 maggio del 2006.
Giuseppe Rubino

Di admin

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