foto 2Due personaggi estremi, un abisso di dolore e di perdita, un’amicizia impossibile in un’oscura stanza d’albergo: quella che andrà in scena alla sala Musco, dal 10 al 15 febbraio, sarà un’appassionante fiaba dark metropolitana, divertente e commovente al tempo stesso. “Crollasse il mondo” è la novità assoluta della giovane drammaturga Alessandra Mortelliti, che – dopo il successo riscosso nella scorsa stagione con “La vertigine del drago” – torna con questo nuovo testo sulle scene del Teatro Stabile di Catania, nell’ambito del cartellone innovativo  “L’isola del teatro”, ideato dal direttore Giuseppe Dipasquale per lo storico palcoscenico di via Umberto.
 La Mortelliti firma un testo allucinato al limite dell’onirico, di cui è anche interprete graffiante, nei panni di Luisa, veemente e passionale. Al suo fianco un partner d’eccezione come David Coco, beniamino del pubblico teatrale, cinematografico e televisivo, che per una volta rinuncia alla sua prestanza per incarnare il respingente Reginaldo, individuo ispido e quasi alienato. Coco si conferma così presenza costante nello Stabile della sua città, meta prediletta dell’attore catanese che proprio dal diploma alla Scuola d’Arte Drammatica “Umberto Spadaro” ha presso l’avvio per la sua felice carriera professionale.
   foto 3 Lo spettacolo, frutto della coproduzione tra l’associazione culturale 15 Lune e Artisti Riuniti, è stato affidato all’efficace regia di Massimiliano Farau. Le scene sono curate da Fabiana Di Marco e illuminate dalla light designer Camilla Piccioni. Di Ilaria Albanese i costumi, mentre i tecnicismi sono di Francesco Traverso.
Come ne “La vertigine del drago”, diretta e interpretata da Michele Riondino, la Mortelliti sceglie di duettare con un protagonista maschile di rilievo, delineando e definendo, anche dal punto di vista del genere, il profilo di due personaggi antitetici che faticano a trovare una collocazione nella società, immersi come sono in una poetica e a volte feroce visione della vita.
Luisa e Reginaldo rappresentano due mondi distanti e separati, due meteore che per caso gravitano attorno alla stessa orbita e, inevitabilmente, si scontrano. Lui è claudicante, silenzioso, ha lo sguardo perennemente attonito; lei è logorroica, esuberante, sempre sopra le righe. Si incontrano per caso in occasione di un concorso per sosia di cantanti famosi: due personaggi borderline, ai margini della società, dilacerati fra slanci vitalistici e pulsioni suicide, raccontati con dolcezza e ironia, attraverso una chiave comica – a tratti grottesca- eppure mai priva di compassione.
    Per il regista da qui «prende vita un mondo periferico, notturno, un universo urbano desolato, lancinato da luci al neon e da suoni laceranti; un mondo in cui si possono riconoscere infiniti riferimenti filmici, letterari, pittorici: da Edward Hopper al “photorealism” americano, dal “noir” al melò, da Lynch a Shepard, ma senza che mai il piacere della citazione prevalga sulla forza assolutamente primaria, viscerale e diretta del racconto».
    Si tratta di una storia di solitudini con un imprevisto riscatto nell’epilogo. Luisa irrompe nella stanza di Reginaldo – in un fatiscente motel dove i due alloggiano per la notte – in cerca di rifugio e protezione. In questa convivenza coatta, il tempo si trasforma in una bolla sospesa in cui l’uomo e la donna instaurano un’amicizia involontaria, nell’attesa che qualcosa accada là fuori. Un passato scomodo viene pian piano alla luce nei dialoghi serrati, tracciando la linea di due vite che, per azione del caso, si saldano in un destino comune.
«È una trasfusione di vita – racconta Farau- che una donna inconsapevolmente salvifica  pratica, forse senza accorgersene, ad un uomo consumato dal senso di colpa e dal dolore; con un finale che ci dà sollievo e ci commuove. Perché questo fa il teatro di Alessandra: fa ridere, emoziona ed inquieta. Spesso nel medesimo istante».foto 4
«Quando si apre il copione di “Crollasse il mondo”- continua ancora il metteur en scene – c’è un dato oggettivo che non può mancare di colpire l’osservatore: le didascalie superano sensibilmente, in estensione, il testo dialogato. Nella mia esperienza di regista solo con “L’ultimo nastro di Krapp” di Samuel Beckett mi sono trovato di fronte a una situazione simile e, così come allora, devo rispettare, con totale fiducia e scrupolo assoluto, l’esattissima partitura di gesti, silenzi, pause, sguardi, parole che l’autore ha, con tanta chirurgica precisione, messo su pagina. Solo così ci si rende conto che l’evento drammatico non risulta generato esclusivamente o principalmente dall’azione verbale, ma dall’esatto succedersi e combinarsi di parole, gesti, condizioni di luce, rumori, suoni, immagini e che tutto ciò sprigiona prepotentemente “senso”. E che alterare un solo elemento significherebbe raccontare un’altra storia».

 

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