Di Giuseppe Gabriele Fonti

Pippo Fava non era uno stupido. Semplicemente era uno di quelli che per via di un radicato idealismo volto all’irrefrenabile tensione verso il cambiamento, stava tanto sulle scatole alla gente o, meglio, a certa gente. Prima che gli dedicassero un monumento funereo, premio tutto italico riservato agli eroi, Pippo affermava, quando le cose si guardavano ancora con i colori tipici del noir d’oltreoceano, che il catanese fosse sostanzialmente diverso da tutti gli altri uomini del sud. Ma non diverso nei tratti somatici o nel modo di gesticolare, tipici di noi nati a mezzodì. Il catanese è diverso perché al contrario del resto dei figli dell’altra Italia, “Non è mai stato portato alla tragedia, anzi, è sempre, decisamente incline all’ironia. Si sente vivo dentro la vita, perché di vivere è felice”.

La forma mentis di chi sa alla perfezione che il non aggrapparsi alla filosofia del “Tanto appoi i cosi s’abbessunu” significherebbe sprofondare nel limbo del male di vivere imposto da un catulliano “Odi et Amo”, verso la città che gli diede i natali.

Personalmente ho sempre pensato che questa forza, sotto al vulcano la si trovi grazie a un senso di aggregazione talmente radicato da diventare a tratti invasivo, specie se estremizzato oltremodo e mal contestualizzato. Come a dire che siamo tutti sulla stessa, tristemente famosa barca e ci si deve far coraggio gli uni con gli altri. La curva, è il simbolo dell’aggregazione. Sopra quei gradoni il calcio diventa una sorta di rituale, una cerimonia che come contorno ha una passione bella e maledetta, dolcemente esasperata come lo splendore del mondo. La “Nord” di Catania oggi più che mai è il ritrovo di chi, pervaso dal sopracitato senso di aggregazione, appartenenza, passione che assume i tratti della devozione, non ha mai smesso di santificare le feste. Anche se in realtà, a quelle latitudini da festeggiare ci sarebbe ben poco. Perché il Catania oggi è lo specchio di una città ferita a morte, decadente e appassita, dilaniata dall’illecito che negli ultimi mesi si è fatto strada fino alle stanze dirigenziali degli alti vertici della squadra che in tre anni scarsi, è passata da uno storico ottavo posto in Serie A, ad un 2-0 incassato ad Ischia. Il tutto insozzato da treni carichi di gol nefandi e vicende giudiziarie che altro non fecero se non gettare l’ennesima onta su una città dove alla fine, non è mai cambiato nulla.

Eppure la curva è la curva. In curva si tifa, si sostiene, specie quando le cose non vanno nella migliore delle direzioni.

Di ritorno dalla costiera amalfitana, il cuore pulsante del tifo organizzato catanese dirama sui social network un appello a chiunque sabato sera, in occasione della partita contro il Lecce, vorrà colorare le gradinate del “Massimino”. Un comunicato scritto da gente che sempre più spesso viene tacciata da accuse di violenza, gli “integralisti” del calcio che, di certo non saranno dei chierichetti, ma di sicuro non sono gli Hooligans di Lexi Alexander. Magari, pensa un po’, ci sarà pure qualcuno che quel maledetto 2 febbraio 2007 non tirava nemmeno bombe carta in Piazza Spedini. Ragazzi come tanti, come Fabrizio Lo Presti, uno di quelli che da una di quelle trasferte non è più tornato, strappato alla vita da un incidente d’auto sulla strada per L’Aquila.

Alla memoria di Fabrizio, tutti gli anni, nella notte tra il 4 e il 5 febbraio è dedicata una veglia, ai piedi del murales a lui dedicato.

Il tributo di chi, magari si sarà pur lasciato andare agli eccessi, ma nel proprio modo di vivere la vita, certi valori li ha sempre tenuti in mente parecchio bene.

“SIAMO SOLI, ABBRACCIATI ALLA NOSTRA MAGLIA.

Siamo sullorlo del baratro, davanti ad un futuro più che incerto, probabilmente tragico. Siamo circondati da personaggi inermi se non apertamente ostili.

DIFENDIAMO IL CATANIA CON LA BELLEZZA!

“Soli”, è questo il termine che più colpisce per la cruda, intrinseca veridicità. “Soli”, che in un accezione più ampia risulta facilmente associabile alla pressoché totale assenza delle istituzioni con la quale dalle nostre parti, vuoi o non vuoi, ci si è sempre trovati a fare i conti.

Poi, c’è la “bellezza”, non quella di Sorrentino o di Brigitte Bardot. Probabilmente più simile a quella  descritta da Goethe quando scriveva che “Senza la Sicilia, l’Italia non lascia nello spirito immagine alcuna”.

Anche il calcio senza il tifo non lascerebbe nello spirito immagine alcuna, ed oggi, mentre da Milano mi prendo il lusso di dedicarvi le mie righe, non riesco a descrivere quanto lo senta forte, il richiamo della bellezza.

 

 

 

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