La Regione Siciliana non è in grado di gestire l’immenso e straordinario patrimonio culturale dell’Isola e lo dimostra ormai da anni. Questa elefantiaca macchina amministrativa è e continua ad essere inutile e dannosa, uno stipendificio per dirigenti e funzionari caratterizzato da sprechi, scelte politico-amministrative suicide e mancati investimenti.
Nell’”Isola dei Paradossi” della “Repubblica delle Banane” accade, infatti, che una delle regioni d’Italia con il maggior numero di siti riconosciuti dall’UNESCO, resta incapace di metter davvero a reddito i suoi tesori culturali e ambientali, nonostante i dati in crescita nel settore del turismo.
Un sistema che definire semplicemente “malato” è un eufemismo, a meno che non si voglia aggiungere l’aggettivo “terminale”. E di questa situazione, divenuta ormai irreversibile, sono responsabili tutte le componenti sociali e politiche che si sono occupate, si fa per dire, della (cattiva) gestione del nostro patrimonio .
Il governo regionale non è mai stato capace di mettere veramente a frutto la legge quadro del 1975 con la quale lo Stato trasferiva alla Regione Siciliana i poteri in materia di “antichità”, opere artistiche e musei, nonché la tutela del paesaggio. La legge quadro regionale dall’impostazione legislativa avanzata, ma risultata poi insufficiente nelle’applicazione normativa, si fondava su tre pilastri: tutela e valorizzazione dei beni culturali e partecipazione democratica dei cittadini. Purtroppo nessuno di questi tre pilastri si è mai veramente concretizzato, ma paradossalmente si è venuto a creare un vero e proprio sistema parallelo, perverso e destinato al fallimento, che ha spostato l’interesse dell’Assessorato regionale al ramo dai tre pilastri alle cosiddette attività culturali. Il sistema parallelo è diventato uno strumento di distribuzione di fondi drenati alle attività principali di tutela e di valorizzazione e ha foraggiato iniziative a pioggia prive di qualsiasi progettualità futura. E quando le risorse finanziarie sono venute meno, per effetto della crisi e degli sprechi, quel fragile sistema si è accartocciato su se stesso.
Testimonianza di questa situazione disastrosa sono i numerosi siti archeologici (Sabucina, foto al centro e in basso, Vassallggi, Gibil Gabib, Monte Bubbonia, Montagna di Marzo, Rossomanno, Morgantina, Megara Hyblaea, nella foto in alto, Monte Polizzello, Monte Jato, Entella, le Grotte dell’Addaura, Thapsos, e tanti altri casi che sono stati diverse volte segnalati dalle Associazioni di volontariato) abbandonati all’incuria, al degrado, agli incendi, chiusi perennemente al pubblico, “visitati” quotidianamente da vandali, tombaroli e greggi di pecore, a cui bisogna aggiungere chiese, palazzi e monumenti a rischio crollo nei centri storici di città come Palermo, Agrigento, Ragusa, Enna, Caltanissetta, beni di inestimabile valore che sono ormai in “via di estinzione” e rischiano di scomparire per sempre.
E quando si chiede l’intervento della Soprintendenza che, come è noto, è l’istituto periferico dell’Assessorato dei Beni culturali e dell’Identità Siciliana preposto alla tutela di questo immenso patrimonio, la risposta è sempre la stessa: mancano le risorse, economiche e umane. Poi però si scopre che i soldi ci sono ma vengono spesi male o non vengono spesi affatto, che il personale in organico è addirittura in esubero ma non viene gestito in modo oculato, che tutti i governi, gli assessori, i dirigenti che si sono succeduti, nella prima e nella seconda Repubblica, hanno avuto interesse a mantenere il sistema bloccato, un sistema di cui hanno fatto parte tutti coloro che hanno avuto un vantaggio dall’indebolimento di una rigorosa funzione di tutela esercitata dalle Soprintendenze sul paesaggio e, paradossalmente, anche coloro che all’interno delle Soprintendenze stesse si sono opposti al cambiamento solo in nome della difesa delle proprie quote di potere.
E in questa stessa classe dirigente hanno rappresentanza, attraverso la politica e la burocrazia, sia gli interessi di settori economicamente obsoleti ma socialmente aggressivi come i venditori di souvenir, lobby politico – sindacali – clientelari come quella dei custodi, sia le resistenze al cambiamento di gran parte di coloro che avrebbero dovuto far funzionare e crescere musei e aree archeologiche.
A questo quadro dipinto a tinte fosche occorre ancora aggiungere la caotica e forse illegittima istituzione di undici parchi archeologici da parte del governo Musumeci (pare infatti che alcune di queste strutture siano state istituite senza il parere, obbligatorio e vincolante, del Consiglio Regionale dei Beni Culturali), a completamento del sistema previsto dalla legge regionale 20 del 2000, un “sistema” che in realtà esiste solo sulla carta e dal quale peraltro risultano totalmente escluse le aree archeologiche del territorio nisseno dove peraltro la Soprintendenza e il Polo museale sono da tempo prive di funzionari archeologi. Va infatti sottolineato che le aree interne della Sicilia negli ultimi dieci anni sono state completamente abbandonate dal governo regionale e sono diventate territori economicamente e culturalmente depressi in cui è in atto un vero e proprio spopolamento che sembra ormai inarrestabile. Un abbandono e un disinteresse sottolineati dai recenti, vergognosi casi dell’apertura di una cava a Monte Scalpello (poi scongiurata grazie all’intervento di SiciliAntica) e delle discariche di Agira e di Centuripe.
Sembra dunque che i nostri Beni Culturali siano entrati in un tunnel buio e senza vie d’uscita, umiliati da scelte sbagliate e ripetute nel tempo, piegati da pratiche clientelari; una macchina elettoralistica travolta dall’incapacità di comprendere che bisognava cambiare rotta e rifondare il sistema.