Servizio di Monica Colaianni – La danza Butoh, nata in Giappone alla fine degli anni ’50, non è una semplice danza ma è la “danza dell’anima”, così come la definisce Valeria Geremia, insegnate, coreografa e danzatrice, “il Butoh – spiega – ha una connotazione particolare e non ha uno stile codificato di movimenti ma attinge dal bagaglio culturale interiore, dalle pulsioni interne e da quella necessità naturale che scaturisce all’interno di ognuno di noi.  È una maniera di danzare che fa scorgere fuori questi movimenti e che ci fa riscoprire un corpo primitivo.”

Quando ti sei avvicinata al Butoh? 

“Quando ho saputo che a Catania si teneva un corso di Butoh con un maestro americano ho deciso di dedicarmi a questa danza proprio perchè ho capito che tramite questa particolare atmosfera si può attingere dal profondo della nostra anima. Non è una cosa semplice e non è sempre che tutto sgorga senza l’intervento della nostra mente, però ormai ci lavoro da più di vent’anni e cerco di venire sempre più a contatto con quest’aria sincera, libera da ogni cosa. Questa danza è come un dono, è qualcosa che sgorga da te;  ovviamente bisogna fare tanto allenamento  fisico per poter realizzare questo essere nello spazio danzando”.

I disegni sul tuo corpo li hai realizzati tu? 

“Sì. Per tanti anni mi sono dedicata alle arti visive. Ho voluto “cambiar pelle” durante la danza, le decorazioni mi preparano a questa metamorfosi, a questa trasformazione che mi decondiziona dal percepirmi come avviene di solito nella quotidianità ma mi fa viaggiare in un percorso di mutamento. In questo touring festival che toccherà varie dimore storiche siciliane ho voluto unire, alle memorie dei luoghi e agli intarsi, il corpo come un’opera d’arte, decorato con il tratto del pennello, creando appunto un corpo che sia un’opera d’arte ma non necessariamente in un’estetica di bellezza ma in un’estetica di poetica che riveli l’interiorità. Qundo danzo sprigiono tanta energia, mi sento molto forte e rigenerata”.

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