Di Monica Colaianni – Speranza e voglia di ricominciare una nuova vita, questo è quello che si legge negli occhi di Mausouda, di Manizha, di Mohamed e di tutti quegli afghani che sono scappati dal loro paese e portati dagli americani in diverse basi dove sono presenti comandi americani o comandi NATO tra cui la Base di Sigonella per poi partire per gli Stati Uniti e ricominciare una nuova vita.

Uomini, donne e bambini che hanno vissuto momenti difficili, duri, momenti di vero terrore temendo per la loro vita e per quella dei loro cari.

Qui ci  fanno sentire non come rifugiati ma come se fossimo già cittadini americani e di questo ne sono molto felice! Sinceramente non mi aspettavo una tale accoglienza e aiuto da parte degli americani “, dice Mohamed un ragazzo di 25 anni che nel suo paese lavorava nella logistica. “Quando arriverò in America – continua il ragazzo – voglio iniziare una nuova vita, voglio studiare e lavorare”.

Masouda e una ragazza di 30 anni con una figlia di 7, il suo sogno è quello di continuare a fare il suo lavoro il controllore di traffico aereo negli Stati Uniti, “sono riuscita ad andare via dall’Afghanistan e a scappare dai talebani, – ci dice – mentre mia sorella è stata bloccata ed è rimasta lì. Ora sogno per me e mia figlia una nuova vita, un nuovo inizio”.

Anche Manizha, una ragazza di 23 anni, è riuscita ad imbarcarsi ma la sua famiglia non ce l’ha fatta … è rimasta in Afghanistan …. i suoi fratelli presi e picchiati dai talebani.

Nel piazzale dove sono state allestite le tende i bambini giocano felici a palla, altri si avvicinano incuriositi per vedere da vicino le nostre attrezzature, un gruppetto guarda sbalordito dall’obiettivo di una fotocamera. Nel mentre che parliamo e intervistiamo alcuni di loro altri si preparano per la partenza verso gli Stati Uniti d’America dove cominciare il loro sogno americano.

“Tra loro e quanti lavorano nella base di Sigonella si è creato un vero il legame, una grande  sintonia. Vorremmo non farli partire”, afferma il contrammiraglio Christopher Scotty Gray, Comander Navy Region Europe, Africa, Central. “Basta guardare negli occhi dei bambini per capire quanto sono felici. – continua il Contrammiraglio –  Questa missione per noi e per quanti vi hanno collaborato è stata molto gratificante, perché tutto è stato fatto sempre con gioia e con il sorriso sulle labbra. Un’esperienza bellissima per tutti”.

“Questo sforzo di solidarietà – dice il Capitano di Vascello Kevin Pickard, command of Naval Air Station Sigonella – non è stato fatto solo dai militari lavorano all’interno della base ma c’è stata un’incredibile partecipazione anche da parte delle famiglie degli americani che abitano all’interno della Base di Sigonella e soprattutto dall’esterno, grazie all’Aeronautica Militare italiana e tramite comitati spontanei cittadini che hanno mandato tantissime donazioni di vestiti, giocattoli, pannolini per i bambini più piccoli, latte e altri prodotti difficili da reperire all’interno della Base. Ad ogni un bambino che arrivava abbiamo donato un peluche”.

“Il ricordo che più mi è rimasto impresso –  dice il comandante del 41 stormo e dell’Aeroporto Aeronautica  Militare di Sigonella, Colonnello pilota Howard Lee Rivera – è legato ai bambini e in particolar modo al primo volo che è sbarcato qui a Sigonella. In particola modo mi è rimasta impressa nella memoria una bambina piccola, seduta su una sedia che teneva in braccio un orsacchiotto più grande di lei, tanto da coprirla quasi del tutto, con il volto ricoperto dalla mascherina. Mi è rimasta l’immagine di questa bambina che alla sua tenera età sta vivendo una situazione così tragica. Questa è una grande operazione di natura umanitaria. Abbiamo dato anche noi il nostro contributo anche se in maniera indiretta perché gestita dalla dall’America. Abbiamo fornito gli stazzi, abbiamo coordinato le attività di ingresso e di uscita degli aeromobili per consentire l’atterraggio in piena sicurezza;  abbiamo accolto queste persone a braccia aperte, con il sorriso sulle labbra cercando di farli sentire a casa loro ma soprattutto farli sentire sicuri e fuori da quelle che erano le vicende che stavano vivendo nel loro Paese. Insomma abbiamo cercato di dare un supporto a 360°”.

Una missione dove italiani, americani e afghani hanno lavorato fianco a finaco, giorno dopo giorno, per sostenere quanti sono stati costretti ad abbandonare il loro Paese.  

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